I Beni Civici di Pesariis
da: “Viaggio nell’Italia dei Beni Comuni” – Marotta e Cafiero Editori / 2012
I beni di uso civico del villaggio alpino di Pesariis (160 abitanti), in comune di Prato Carnico (provincia di Udine), si configurano giuridicamente come una proprietà collettiva. Essi costituiscono il patrimonio indivisibile, inalienabile, non commerciabile, imperscrittibile e non suscettibile di usucapione, pignoramento o esecuzione forzata, sul quale la comunità locale ha storicamente esercitato i propri diritti di uso del territorio (uso civico, appunto). Tali forme organizzative erano molto diffuse in Italia, in particolare nelle aree della montagna e della campagna, e rappresentarono probabilmente il primo livello di partecipazione alla cosa pubblica delle comunità rurali. Le popolazioni traevano dai propri beni collettivi (prati, pascoli, boschi, lagune, ma anche edifici) tutti i proventi e le utilità derivanti dalla gestione comune. Diritti di uso civico e proprietà collettive sono formazioni sociali riconosciute e garantite dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo.
Dalla fine del XIII secolo, passando attraverso il dominio della Repubblica di Venezia, il regime napoleonico e l’impero austro-ungarico, il villaggio di Pesariis ha esercitato la gestione autonoma di un esteso territorio. Risalgono infatti al periodo tra il 1250 ed il 1275 i più rilevanti privilegi concessi dal Patriarcato di Aquileia (1077-1420) a numerosi comuni della Carnia, tra cui Pesariis. Tali concessioni perdurarono anche sotto il regime della Serenissima (1420-1797). Durante il regime napoleonico si costituì l’omonimo catasto (1813) e si ebbe il passaggio dalle comunità di villaggio (Vicinie) ai Comuni in senso moderno; Pesariis divenne quindi Comune prima dell’attuale Prato Carnico. Il successivo impero austro-ungarico lasciò immutate le relazioni patrimoniali dell’Amministrazione con i beni civici dell’antica comunità. Con Regio Decreto del 19 gennaio 1896 fu sancita l’autonomia patrimoniale e amministrativa della Frazione di Pesariis e, con analogo provvedimento del 15 gennaio 1899, fu riconosciuta la sua pertinenza territoriale (oltre il 50 per cento del territorio di 84 Kmq dell’attuale Comune). Il comune di Prato Carnico si oppose a ciò il 31 agosto del 1904, aprendo una causa civile, politica e sociale che si protrasse per ben 29 anni, su tutti i livelli di giudizio. Finalmente, il 28 dicembre 1932 le parti contendenti firmarono una conciliazione, poi omologata con provvedimento del Commissario Regionale per la liquidazione degli usi civici del 21 marzo 1933. Stabilita la piena proprietà delle terre nonchè la totale autonomia amministrativa e patrimoniale, la personalità di diritto pubblico della Frazione non potè essere negata in quanto essa aveva, ed ha, da far valere interessi che appartengono ai frazionisti uti universi, ossia in quanto collettività. La Giunta provinciale amministrativa di Udine nominò quindi il primo Comitato di Amministrazione, composto da cinque membri scelti tra i frazionistii.
A partire dagli anni Trenta, l’Amministrazione dei beni civici di Pesariis – grazie alle rendite provenienti principalmente dalla vendita del legname – si fece carico delle spese previste dalle leggi comunali e provinciali inerenti in modo esclusivo la Frazione stessaii. Da quell’epoca in poi, sono numerosi i documenti dell’archivio frazionale che evidenziano, accanto alle spese di ordinaria amministrazione, progetti elaborati da generazioni di amministratori civici tendenti da un lato alla valorizzazione del patrimonio frazionale, dall’altro al sostegno della collettività, attraverso politiche di aiuto alle famiglie come il sussidio per la copertura delle spese scolastiche e per l’acquisto dei libri di testo agli alunni che frequentavano la scuola media e l’organizzazione, in collaborazione con la parrocchia, di colonie marine per i figli dei frazionisti. Non tutti i progetti sono stati realizzati, ma testimoniano comunque la vitalità e l’attaccamento al bene comune. Fra gli anni ’60 e ’80, causa lo spopolamento che ha colpito le zone montane ed il concomitante calo del valore del legname sul mercato, l’Amministrazione separata di Pesariis si limitò ad occuparsi della gestione ordinaria, riducendo anche gli interventi sul patrimonio boschivo, sia di produzione che in godimento gratuito.
Nuovo impulso si ebbe a partire dalla fine degli anni ’90. Nel corso del tempo, grazie a fondi strutturali europei, statali e regionali di cui seppe diventare beneficiaria diretta, l’Amministrazione provvide alla realizzazione di diversi investimenti, a beneficio del patrimonio frazionale, dell’abitato di Pesariis e dell’intera collettività di vallata, occupandosi direttamente anche di programmazione e gestione di progetti di sviluppo localeiii. Attualmente l’Amministrazione dei beni civici di Pesariis gestisce un patrimonio forestale di 1.600 ettari di terreni (550 di bosco di produzione resinose e 250 di legna da ardere, mentre il rimanente territorio è costituito da terreni improduttivi, aree di protezione, frane storiche e rocce), e diversi edifici (la casa per ferie Da Cuesta, i bivacchi Palabona ed Entralais, l’albergo Pradibosco, la residenza turistico-alberghiera Casa Pesarina), oltre a due attività commerciali in paese (il punto vendita alimentari e la Bottega del Tempo). Oggi il patrimonio netto ammonta a nove milioni di Euro e sono sette i lavoratori occupati.
I beni civici di Pesariis sono una proprietà collettiva riconosciuta in base alla legge statale 1776/1927, dal relativo Regolamento del 1928 (riordinamento degli usi civici nel Regno) e da norme successive che ne disciplinano aspetti specificiiv. Le Amministrazioni frazionali dei beni di uso civico (Asbuc o Asuc) sono proprietà collettive aperte, perchè tutti i residenti della Frazione vi possono compiutamente partecipare, e vengono considerate di diritto pubblico in quanto operano con modalità (pubblicazione delle deliberazioni, operatività finanziaria tramite banca tesoreria, bilancio pubblico strutturato come quello comunale, rispetto delle norme su appalti pubblici, acquisti di materiale ed acquisizione di servizi ecc.) e sulla base di norme analoghe, per quanto applicabili, a quelle dei Comuni. Ciò comporta, ad esempio, che le elezioni dell’organo di autogoverno (comitato di amministrazione) avvenga con lo stesso sistema, parzialmente semplificato, delle elezioni politiche ed amministrative. Ma significa anche, come l’esperienza di Pesariis dimostra, che a fronte di vincoli ed adempimenti impegnativi l’Amministrazione frazionale può ottenere gli stessi benefici degli enti pubblici e, su richiesta di specifico provvedimento, può vedersi riconosciuta la piena autonomia anche sulla straordinaria amministrazione del proprio patrimonio (ancora inspiegabilmente subordinata a pareri commissariali e delibere di Giunta regionale). Oltre al comitato di amministrazione, che si occupa della gestione ordinaria delle attività istituzionali, patrimoniali, commerciali e degli specifici progetti, esiste anche l’Assemblea della popolazione che, convocata su semplice richiesta dei residenti o dal comitato di amministrazione, decide collettivamente su specifiche problematiche o sugli aspetti che possono riguardare la dismissione o l’acquisizione di patrimonio comune.
Gestore dei beni civici di proprietà della comunità, l’Amministrazione diventa anche imprenditore collettivo nel momento in cui non si limita più ad affidare al mercato la gestione del proprio patrimonio immobiliare, traendone tecnicamente una rendita, ma decide di operare direttamente, organizzando i fattori della produzione in funzione dei bisogni generali della comunità. Gli esempi di Pesariis lo dimostrano. Il ricavo economico netto del legname per costruzioni ed arredi venduto “in piedi” era la metà di quello che l’Amministrazione ottiene ora vendendolo “assortimentato a piazzale”, dopo averlo direttamente lavorato con proprie risorse umane e materiali. Il beneficio della legna da ardere (una volta esercitato da tutte le famiglie, che disponevano in godimento gratuito di un ettaro di bosco di latifoglie da cui ricavare il necessario per l’inverno) si stava trasformando davvero nella cosiddetta “tragedia dei beni comuni”, in quanto le famiglie, non procurandosi più direttamente la legna, si rivolgevano ad imprese boschive ripagandole con legname (correndo il rischio di determinare la completa dissipazione della risorsa comune)v. Oggi, il servizio consiste nella cessione alle famiglie, ad un prezzo pari al 60 per cento di quello di mercato, di legna da ardere pronta, prodotta direttamente dall’Amministrazione. Le positive esperienze gestionali del punto vendita alimentari e della Bottega del Tempo dimostrano ulteriormente l’inefficienza del mercato, quanto meno nelle aree marginali, perchè incapace di valorizzare risorse umane e materiali locali per risolvere bisogni solvibili del consumatore, residente o turista che sia. Agendo da soggetto imprenditoriale, ancorchè collettivo, l’Amministrazione di Pesariis ha ottenuto l’iscrizione alla Camera di Commercio, al Repertorio Economico, con quattro codici attività (Ateco) ed ha adottato un regime Iva normalevi.
L’Amministrazione Frazionale, che adotta una contabilità pubblica con specifiche poste separate per le attività commerciali, ha dovuto affrontare e risolvere anche alcuni non irrilevanti aspetti fiscali, ottenendo soggettivamente l’esenzione dall’Ici sul patrimonio immobiliare istituzionale e dalle imposte sul reddito derivante dalla proprietà collettiva (vendita legname, affitto immobili e locazioni turistiche), rimanendone invece soggetta nel caso di immobili ed attività commerciali. Richiedendo poi formale conferma regionale, i cittadini della comunità di Pesariis hanno ottenuto il riconoscimento di ulteriori diritti collettivi, come il libero accesso con veicoli a motore e la libera raccolta di funghi e piccoli frutti sui prati e boschi comuni, senza bisogno dei permessi comunali. Riguardo le relazioni con le diverse istituzioni pubbliche (Regione, Provincia, Comunità Montana, Agenzia delle Entrate, Equitalia spa, Guardia di Finanza), i rapporti, inizialmente assai problematici causa la quasi completa ignoranza dell’esistenza stessa di diritti d’uso civico, si sono poi positivamente consolidati, attraverso l’identificazione dell’Amministrazione Frazionale, in quanto soggetto giuridico, e il riconoscimento del suo legittimo ruolo e delle sue molteplici attività, nessuna delle quali può esserle preclusa se non espressamente vietata per legge.
Quasi a prosecuzione degli storici contenziosi, invece, le relazioni con il comune di Prato Carnico sono ridiventate progressivamente pessime, con l’estensione degli interventi frazionali. Semplicemente perchè “il Comune” non regge e non può reggere il confronto politico con “la Comune”; di conseguenza, inizialmente la ignora, poi l’osteggia e, infine, la combatte apertamente, considerandola suo primo, se non unico, avversario politico. Infatti, in una piccola realtà locale pur consapevole delle differenze tra i due soggetti, i cittadini vedono da un lato una comunità auto-organizzata che procede con investimenti e attività, creando reddito e occupazione, ma anche vitalità culturale e sociale, e dall’altra “il” Comune che fornisce direttamente ormai solo minimi servizi di base (delegandone la maggior parte al mercato e per di più a titolo oneroso). Con la non piccola, ulteriore differenza per la quale “il” Comune vive di imposte, tasse e trasferimenti da Stato e Regione, mentre “la” Comune agisce esclusivamente grazie ai proventi della gestione del patrimonio collettivo e alla sua capacità di leva finanziaria (produzione di mezzi propri che permettano il co-finanziamento di contributi pubblici prevalenti). E perfino i lavoratori evidenziano spirito ed approccio diversi: i dipendenti collettivi sono pienamente consapevoli che devono produrre ricavi adeguati per conservare il proprio posto di lavoro e contribuire a crearne di nuovi, mentre i dipendenti comunali, a torto o a ragione, non ne vedono il nesso. Tutto ciò, alla lunga, finisce per diventare insopportabile, e non solo politicamente. Così, anzichè appoggiare un soggetto locale che si adopera per lo sviluppo territoriale, accade il contrario. Nel 2011, ad esempio, il comune di Prato Carnico ha modificato il Piano Regolatore Generale, vietando qualsiasi derivazione d’acqua ad uso idroelettrico su tutte le aste fluviali principali e secondarie del torrente Pesarina, che attraversa la proprietà collettiva e l’intera vallata, salvo quell’unica sulla quale aveva in corso una propria domanda di concessione e salvo precisare che «non è corretto – come si legge in una delibera comunale – interpretare questa variante come un atto che blocca o diniego l’iniziativa imprenditoriale dei Beni Frazionali di Pesariis» (progetto da 2 milioni di euro cui si stava lavorando dal 2004). Non consola neppure riscontrare che molti sono i Sindaci, in Friuli e in tutta Italia, che considerano le proprietà collettive delle loro comunità solo come risorse a disposizione e dimostrano inspiegabilmente nel contempo di non voler proprio consentirne la gestione diretta alla popolazione titolarevii.
I rapporti con le istituzioni private (banche e assicurazioni) sono risultati meno problematici, probabilmente grazie al valore oggettivo del patrimonio collettivo e alle modalità di gestione pubblicistiche ma comunque redditizie. Ma se in passato era risultato agevole ottenere, ad esempio, pre-finanziamenti sui contributi pubblici, dopo la crisi finanziaria ciò è divenuto più difficile; secondo gli istituti di credito, proprio a causa dell’impossibilità di rivalersi sul patrimonio civico in caso di bisogno; in verità e più semplicemente, perchè le banche ormai non finanziano più nessuno. La politica invece non ha, a tutt’oggi, ancora compreso la portata innovatrice delle proprietà collettive, continuando a considerarle letteralmente un residuo del passato e per di più in mano a gente considerata con sufficienza (evidentemente diversa da quella che abitualmente fa politica come mestiere privato). Le forze politiche, sia di sinistra che di destra, dimenticano troppo spesso che le proprietà collettive gestiscono i beni comuni come capitale sociale della comunità, promuovono la conservazione ecologica e lo sviluppo sostenibile del territorio, svolgono a pieno titolo funzioni economiche imprenditoriali a totale beneficio della comunità cui destinano, direttamente o indirettamente, i proventi netti della gestione economica e l’eventuale accumulazione di capitale finanziario.
In Italia, gli antichi “comunisti” (ovvero gli uomini e donne che, secondo la storica denominazione dell’età moderna, possiedono collettivamente la terra, non solo come fonte di diritti d’uso ma anche come mezzo di produzione) sono più numerosi di quanto si creda. In Friuli Venezia Giulia le proprietà collettive interessano 148 Comuni su 219, occupando presumibilmente l’8 per cento del territorio. In questa Regione gli enti collettivi che hanno saputo innovare il proprio modo di operare, passando da percettori di rendita fondiaria a imprenditori collettivi – nella montagna carnica e nella Val Canale, come nel Carso triestino o nella pianura delle province di Udine e Pordenone – stanno dimostrando i vantaggi dell’autogoverno e riassegnando agli abitanti il ruolo di attori locali, con il potere e l’autorevolezza di chi sa prendere decisioni che tengono conto anche dei diritti delle generazioni future. Essi danno prova di saper rendere propri anche gli stimoli provenienti dall’esterno, per mobilitare risorse e trattenerne in loco gli effetti, promuovendo ogni ambito economico e sociale. Ben oltre le stime deficitarie emerse dal Censimento dell’agricoltura del 2011, la consistenza complessiva delle Terre civiche, ancora esistenti in Italia, può essere ragionevolmente considerata pari a 3 milioni di ettari.
I recenti quesiti referendari su alcuni beni comuni (acqua, salute e ambiente, legalità) hanno dimostrato che una nuova consapevolezza collettiva ha saputo fare proprio di tali beni universali l’argine invalicabile, il senso del limite e della responsabilità, che egoismo economico e servilismo politico non devono più oltrepassare. Perchè i beni comuni sono il vero fondamento della ricchezza reale; essi hanno un valore proprio, intrinseco, una loro natura sociale (libero accesso e condivisione) e un loro status giuridico (oltre la proprietà privata individuale e oltre lo Stato sovrano territoriale). La gestione dei beni comuni deve perciò spettare alla comunità degli abitanti di appartenenza; nessun tecnicismo può comportarne l’esproprio di fatto o la compensazione monetaria. è perciò tempo di reinventare un sistema di governo locale delle risorse collettive, fino a prevedere nel Codice Civile, accanto alla proprietà privata e a quella pubblica, la proprietà collettiva dei beni comuni (Commissione Rodotà, 2008). Si potrebbe iniziare da boschi, prati e campi di proprietà collettiva ad uso civico, e aggiungere i 300 mila milioni di euro dei patrimoni pubblici, di fatto male o per nulla gestiti, che non devono essere privatizzati e svenduti ma ritornare all’amministrazione autonoma delle comunità cui appartengono: una ricchezza collettiva immensa, ma soprattutto una formidabile leva per l’economia. è auspicabile che ciò avvenga contemporaneamente e dappertutto, attraverso un grande progetto per un nuovo risorgimento economico e sociale, proprio grazie all’ampliamento della base materiale dei beni comuni e a modalità innovative di destinazione e gestione, a partire dalle cosiddette “aree marginali” che costituiscono il 64 per cento del territorio.
Delio Strazzaboschi